L’inquinamento atmosferico aumenta il rischio di osteoporosi. Lo conferma uno studio condotto presso l’Unità di Reumatologia dell’Università di Verona, e recentemente pubblicato sulla rivista Osteoporosis International, a dimostrazione di come i siti ossei corticali sarebbero quelli maggiormente suscettibili all’esposizione a livelli elevati di agenti pollutanti ambientali.
Per quanto il razionale a supporto dell’esistenza di una correlazione tra livelli di sostanze pollutanti ambientali e densità minerale ossea ridotta sia ben supportato da evidenze, fino ad ora, però, l’inquinamento ambientale non era stato preso seriamente in considerazione come fattore di rischio di osteoporosi, né incluso negli algoritmi esistenti del rischio di frattura.
Di qui il nuovo studio, il cui obiettivo primario è stato quello di determinare e descrivere, utilizzando uno strumento di valutazione del rischio di frattura presente sul web, l’associazione esistente tra l’esposizione a lungo termine al particolato atmosferico in un’ampia coorte di donne a rischio elevato di frattura.
Per prima cosa, i ricercatori hanno estrapolato i dati clinici e densitometrici della coorte considerata utilizzando il dataset DeFRAcalc79, che comprende i dati delle donne a rischio di frattura del nostro Paese raccolti nell’arco di un quinquennio (2016-2020) da 3.326 medici (sia medici di famiglie che specialisti in malattie dell’osso), prendendo in considerazioni diverse variabili per il calcolo del rischio di frattura quali età, peso corporeo, altezza, numero e sito delle fratture pregresse di fragilità, storia familiare di fratture al femore e di fratture cliniche vertebrali, assunzione di glucocorticoidi (≥5 mg/die equivalenti di prednisone), trattamento con terapia adiuvante ormonale per i tumori della mammella o della prostata e altri. Nessuna paziente, inoltre, era in trattamento con farmaci per l’osteoporosi al tempo del reclutamento nel database.
In seconda battuta, i ricercatori hanno preso in considerazione i dati sul monitoraggio delle concentrazioni di PM10 e PM2,5 forniti dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale. A questo punto, sulla base dei dati disponibili elencati sopra, sono stati implementati dei modelli lineari generalizzati per identificare i determinanti di osteoporosi (definita sulla base di un T-score in qualunque siti anatomico considerato <-2,5) e la relazione tra la DMO e l’esposizione a lungo termine al particolato atmosferico.
L’esposizione al particolato atmosferico è stata valutata o come variabile continua o come variabile primaria (soglie di esposizione erano pari a 30 μg/m3 e 25 μg/m3 per il PM10 e il PM2,5, rispettivamente). I ricercatori hanno sottoposto ad aggiustamento sequenziale i dati per la presenza di fattori confondenti. Il modello 1 includeva l’età, il BMI, la presenza di fratture di fragilità prevalenti, una storia familiare di fratture vertebrali o al femore e la menopausa.
Il modello 2 prevedeva un ulteriore aggiustamento dei dati in base al trattamento con GC e alla presenza di comorbilità. Da ultimo, il modello 3 (assunto come principale) prevedeva un ulteriore aggiustamento dei dati in base alla macro area di residenza (Nord Italia, Centro Italia, Sud Italia).
Lo studio ha preso in considerazione una popolazione di 59.950 donne residenti in una delle 110 province italiane.Dall’analisi dei dati è emerso che l’esposizione al PM2,5 era negativamente associata con i livelli di T-score a livello del collo femorale (β−0,005, IC95% −0,007; −0,003) e della colonna lombare (β−0,003, IC95% CI −0,006; −0,001). Non solo, l’esposizione cronica a livelli di PM2,5 >25 μg/m3 è risultata associata anche ad un rischio di riscontro di T-score osteoporotico superiore del 16%, indipendentemente dal sito anatomico considerato (aOR=1,161; IC95%=1,105-1,22). In aggiunta, l’esposizione cronica a livelli di PM10 >30 μg/m3 è risultata associata anche ad un rischio di riscontro di T-score osteoporotico superiore del 15%, indipendentemente dal sito anatomico considerato (aOR=1,148; IC95%=1,098-1,2).
“A differenza degli altri, – scrivono i ricercatori nella discussione del lavoro – il nuovo studio è stato condotto in un’ampia coorte di donne a rischio elevato di frattura, delle quali era possibile avere accesso alle variabili densitometriche e a quelle legate all’osso”. Nonostante alcuni limiti metodologici intrinseci del lavoro, “i risultati documentano come l’esposizione al particolato atmosferico aumenti il rischio di osteoporosi. L’osso corticale sembra essere maggiormente suscettibile agli effetti dell’esposizione ambientale al particolato atmosferico rispetto all’osso trabecolare. Pertanto, le conseguenze cliniche e sociali di queste osservazioni sono rilevanti, in quanto i dati ottenuti suggeriscono di prendere in considerazione l’implementazione di politiche atte a ridurre le emissioni di particolato e dei loro precursori gassosi anche allo scopo di prevenire l’osteoporosi, soprattutto nelle aree maggiormente industrializzate e con popolazioni sempre più anziane e, quindi, maggiormente suscettibili ad andare incontro a malattia dell’osso”, concludono.