Il fototest nella conferma della dermatite atopica foto aggravata permette una migliore e personalizzata assistenza dei pazienti grazie all’identificazione di lunghezze d’onda provocanti, allergie da fotocontatto rilevanti e consigli appropriati sulla fotoprotezione. Ad affermarlo è uno studio inglese pubblicato su Jama Dermatology. “Si stima che la dermatite atopica fotoaggravata (PAD) colpisca dall’1,4% al 16% dei pazienti con dermatite atopica, ma rimane scarsamente caratterizzata, e i dati pubblicati sono limitati. Per questo abbiamo cercato di fornire una caratterizzazione clinica e fotobiologica dettagliata della dermatite atopica fotoaggravata” spiega Kirsty Rutter, della University of Manchester, e del Manchester Academic Health Science Centre, Regno Unito, autrice principale dello studio.
I ricercatori hanno utilizzato dati trasversali raccolti da 120 pazienti consecutivi con diagnosi di dermatite atopica fotoaggravata da gennaio 2015 a ottobre 2019 presso un’unità di riferimento di un centro terziario per la fotobiologia. I dati clinici e fotobiologici standardizzati raccolti di routine sono stati analizzati utilizzando statistiche descrittive e l’analisi di regressione ha esplorato le associazioni tra dati demografici e clinici.
Su 869 pazienti sottoposti a fototest, 120 (14%) hanno ricevuto una diagnosi di dermatite atopica fotoaggravata. Di questi pazienti, 104 erano adulti. Tutti avevano una storia di dermatite atopica e la maggior parte (62 su 104) presentava eczema provocato dalla luce solare o fotodistribuito. L’età mediana all’esordio della fotosensibilità era di 37 anni, e il punteggio dell’indice di qualità della vita dermatologica dell’anno precedente era maggiore di 10 per 80 adulti su 103 (78%); inoltre, 82 su 119 (69%) individui presentavano insufficienza o carenza di vitamina D.
I risultati del test di provocazione con radiazioni UV a banda larga sono stati positivi per 112 pazienti (93%). In 28 pazienti (23%) con risultati anormali del fototest si è verificata una sensibilità ai raggi UV-A, UV-B e/o alla luce visibile, e UV-A 350 ± 10 nm era la lunghezza d’onda più prevalente. Le reazioni al Photopatch test sono state positive per 18 pazienti (15%).