Diffuso e passeggero, il mal di schiena è un’esperienza comune che non bisogna sottovalutare, specialmente se si ripresenta più volte. Il dolore infatti, se non dovuto a sedentarietà prolungata o a uno sforzo, può essere segnale di uno stato infiammatorio cronico che può degenerare in problemi più gravi.
“La presenza di dolori lombosacrali per oltre tre mesi, tipicamente notturni e presenti a riposo o al risveglio e che si attenuano con il movimento, sono campanelli di allarme che necessitano di una valutazione specialistica reumatologica”, spiega Roberto Caporali, direttore del Dipartimento di Reumatologia e Scienze Mediche dell’ASST Gaetano Pini-CTO. “Una diagnosi precoce è infatti fondamentale per un adeguato trattamento che impedisca l’instaurarsi di gravi danni articolari ad alto impatto invalidante”.
La sintomatologia del paziente affetto da spondilite anchilosante, la malattia infiammatoria che colpisce le articolazioni della colonna vertebrale, ha delle caratteristiche ricorrenti, prima tra queste la durata del dolore, che deve essere superiore ai 3 mesi, seguita dall’età, che rappresenta un elemento fondamentale di orientamento al medico. Altro fattore importante nella valutazione di un eventuale stato infiammatorio cronico è dove si manifesta il dolore. Durante le fasi iniziali il mal di schiena è principalmente sacrale e può presentare irradiazioni anche nella parte inferiore delle cosce. In alcuni casi alcuni indizi potrebbero arrivare anche dagli occhi, data la relazione tra le strutture al suo interno e quelle articolari, o dalla cute.
Se il dolore si manifesta a livello lombo-sacrale, la diagnosi viene effettuata con la risonanza magnetica del bacino, che consente di vedere precocemente eventuali infiammazioni e intervenire con le giuste terapie per evitare un’erosione. La patologia ha una certa familiarità, ecco perché un altro indizio importante è sapere se il soggetto ha un familiare che ne soffre.
Altri fattori che aumentano il rischio di sviluppo della spondilite anchilosante sono le malattie infiammatorie croniche intestinali come la rettocolite ulcerosa e il morbo di Crohn.
Oggi alcuni farmaci sono in grado di ridurre l’infiammazione e il dolore, ma non esiste ancora una cura definitiva per eliminare la spondilite anchilosante.
“In particolare, i farmaci anti-TNFα sono in grado di controllare il processo infiammatorio sia a livello osseo sia a livello di cute e intestino“. – dichiara Roberto Gerli, direttore struttura complessa Reumatologia dell’Università di Perugia e presidente della Società Italiana di Reumatologia – “I farmaci biologici sono un trattamento primario e unico che possiamo attuare per far sparire l’infiammazione e mettere il paziente in condizioni di normalità”.
Essendo una patologia cronica, la terapia varia da paziente a paziente, ma deve essere costante nel tempo.