Lo stress quotidiano mette a dura prova il benessere delle persone e cercare di ridurlo è importante. Un’opzione promettente, secondo i ricercatori della Max Planck Institute for Human Cognitive and Brain Sciences, è la mindfulness, la pratica alla consapevolezza attraverso esercizi di meditazione e comportamentali che allenano abilità cognitive e sociali, come l’attenzione, la gratitudine e la compassione. A confermarlo è un capello. La concentrazione di cortisolo (l’ormone dello stress) nei capelli, infatti, è indicativa dell’esposizione allo stress prolungato.
Lo studio, condotto su tre gruppi da 80 persone circa, ha analizzato l’effetto di un programma di mindfulness della durata di nove mesi, 30 minuti al giorno per sei giorni alla settimana. Il programma consisteva in tre sessioni di tre mesi, ciascuna progettata per allenare un’area di abilità specifica: attenzione e consapevolezza, abilità socioaffettive e abilità socio-cognitive.
Per misurare i livelli di stress dei partecipanti, i ricercatori hanno analizzato ogni tre mesi la quantità di cortisolo nei primi tre centimetri di capelli, partendo dal cuoio capelluto. Nei primi tre mesi si sono visti effetti lievi. Mentre dopo sei mesi di mindfulness, la quantità di cortisolo nei capelli dei soggetti è diminuita in modo significativo, in media del 25%. La riduzione è avvenuta in maniera esponenziale e questo ha suggerito al team che solo un allenamento sufficientemente lungo è efficace. L’effetto benefico non sembra dipendere dai diversi approcci mentali coinvolti nello studio.
“Ci sono molte malattie, inclusa la depressione, che sono direttamente o indirettamente correlate allo stress a lungo termine. Dobbiamo lavorare per contrastare gli effetti dell’affaticamento cronico in maniera preventiva. Il nostro studio ha utilizzato misurazioni fisiologiche per evitare le distorsioni che potrebbero esserci in un processo di autovalutazione, dimostrando che i benefici ottenuti dalla mindfulness riducono effettivamente i livelli di stress anche in individui sani” conclude Lara Puhlmann, prima autrice dello studio, pubblicato su Psychosomatic Medicine.