In un Paese che vede sempre più crescere l’età media nazionale, aumentano anche le patologie correlate all’invecchiamento. Tra queste, le demenze fanno da padrone con numeri da vera e propria emergenza sanitaria. E se ne è parlato in occasione di “Mind the gaps: poniamo l’attenzione sui divari regionali nella presa in carico delle persone con demenza”.
Spesso l’impatto della malattia è devastante per le famiglie e per i caregivers che si trovano ad affrontare una sfida enorme sia in termini economici sia sociali. Si stima che nel 2050 i casi di demenza interesseranno, a livello mondiale, circa 153 milioni di persone passando così dagli attuali 57 a un numero quasi triplicato di diagnosi. Ma qual è la situazione presente e futura in Italia? “In generale – commenta Lorenzo Mantovani, Direttore del Centro Dipartimentale di Studio sulla Sanità Pubblica dell’Università Bicocca di Milano – incidenza e prevalenza di demenze sono crescenti all’avanzare dell’età e l’Italia è già oggi una delle nazioni con la struttura della popolazione più anziana, tanto che la Global Burden of Disease Collaboration identifica il nostro quale uno dei Paesi con il maggior impatto delle demenze. Le previsioni demografiche indicano che la nostra popolazione è destinata ad invecchiare ulteriormente e questo è un successo del nostro sistema sanitario. Un successo che renderà però l’entità epidemiologica ancora maggiore. Se anche il carico di malattia crescerà, questo dipenderà dalla disponibilità di strumenti di prevenzione, diagnosi, trattamento e riabilitazione sempre più efficaci”.
Anche se molti passi in avanti sono stati fatti nella cura delle demenze ed in particolare dell’Alzheimer, che ne rappresenta la forma più comune, la strada è ancora lunga e la prevenzione resta al momento l’unica arma disponibile, insieme alla diagnosi precoce, in grado di rallentare il decorso della malattia. Come spiega Alessandro Padovani, Professore Ordinario di Neurologia e Direttore Clinica Neurologica, Università degli Studi di Brescia e Direttore U.O. Neurologia ASST Spedali Civili di Brescia, “la ricerca sulla Malattia di Alzheimer ha fatto negli ultimi anni dei notevoli progressi che hanno consentito di comprendere meglio i meccanismi patogenetici della malattia e di sperimentare strategie terapeutiche. Già oggi sappiamo che alcuni farmaci sono in grado di ridurre, se non proprio eliminare, la beta-amiloide, una proteina correlata alla neuro degenerazione e di rallentare il decorso del declino cognitivo. In questo contesto, è fondamentale riuscire a migliorare l’identificazione dei soggetti a rischio così come lo è effettuare una diagnosi precoce in coloro che cominciano a manifestare i primi segni”
Poi aggiunge: “numerosi studi sembrano confermare quello che alcuni anni fa sembrava un miraggio, ovvero vi sono evidenze consistenti a favore del fatto che si possa arrivare ad una diagnosi mediante un esame ematico. Tali risultati, se confermati e validati, potranno permettere di caratterizzare con precisione i pazienti e di intervenire precocemente, anche sui fattori di rischio. In particolare, esiste la concreta possibilità di poter indagare l’effetto biologico di terapie farmacologiche anche in soggetti a rischio ancora cognitivamente intatti”.
Investire in prevenzione e diagnosi precoce è dunque fondamentale prima che i fattori di rischio si traducano in uno stato di demenza conclamato. Ne è convinta Manuela Berardinelli Presidente di Alzheimer Uniti Italia Onlus che conclude: “la diagnosi precoce è essenziale e deve essere accessibile a tutti, sarebbe utile poi prevedere uno screening agli over 65. Vero è infatti, che intercettare la malattia come dovrebbe essere nelle sue prime manifestazioni, è importante se contemporaneamente si inizia un percorso con la persona malata e la famiglia, una presa in cura da parte di tutti gli attori del sistema, altrimenti c’è la consapevolezza senza sapere cosa e come fare, e questo è lo stato attuale di tante famiglie”.