Nel 2025 abbiamo strumenti potenti: fascicoli elettronici, sistemi predittivi, ospedali sempre più digitalizzati. Ma ogni volta che un paziente firma un consenso, dietro c’è una domanda che nessuno esplicita: “Posso fidarmi?”
Perché la sfida non è l’algoritmo
La tecnologia è l’aspetto più semplice: si programma, si aggiorna, si corregge.
La fiducia no.
La sanità italiana è complessa, a volte frammentata, con tempi e regole diversi da regione a regione. Dentro questa complessità nascono le domande che determinano se il cittadino accetterà o rifiuterà la tecnologia:
- Chi vede i miei dati?
- Perché vengono usati?
- Ci guadagna qualcuno?
- Possono sbagliare algoritmi che decidono per me?
L’IA può fare molto (se la fiducia non si rompe)
Gli algoritmi possono:
- prevedere i picchi influenzali e preparare gli ospedali;
- stimare il rischio per pazienti fragili;
- individuare segnali “deboli” che precedono un peggioramento;
- ridurre sprechi e ritardi.
Ma senza trasparenza, il sistema si inceppa.
Un cittadino diffidente non condivide dati, e senza dati non c’è prevenzione.
La nuova etica della salute digitale
Non si tratta di proteggere solo la privacy, ma la dignità: la percezione di essere “in controllo” della propria storia sanitaria.
Una sanità che funziona è una sanità in cui il paziente capisce quello che succede — e lo approva.


