C’è un legame fra ciò che mangiamo e la nostra salute mentale? Le ricerche in proposito sono poche, ma suggeriscono legami inattesi e, soprattutto, possono aiutare a capire il ruolo di particolari meccanismi fisiologici e metabolici nella genesi dei disturbi mentali. Una buona alimentazione può contribuire non solo alla salute fisica, ma anche al benessere mentale. A suggerirlo sono diversi studi a cui la rivista “Clinical Psychological Science” dedica una serie di articoli che fanno il punto su questo nuovo – e difficile – campo di ricerca.
Ovviamente, come è sottolineato nella premessa, l’attenzione alla dieta non è un’alternativa alle terapie nei casi di problemi conclamati e nemmeno una garanzia a non incorrere in questo tipo di difficoltà. Tuttavia questi studi possono mettere in evidenza interessanti correlazioni e aiutare a capire il ruolo di alcuni processi fisiologici e metabolici – dallo stress ossidativo alle disfunzioni mitocondriali fino alle disbiosi gastrointestinali e ai processi infiammatori – nel benessere psichico.Alcuni studi avevano suggerito una possibile associazione fra una dieta ricca di carni, grassi e cibi trasformati e il rischio di sviluppare sintomi ansiosi o depressivi e, al contrario, una riduzione del rischio correlata a una dieta mediterranea ricca di frutta e verdura, ad alto contenuto di grassi insaturi, come quelli di noci e pesce, e povera di alimenti trasformati.
Lo studio pubblicato da Almudena Sánchez-Villegas e colleghi, delle Università di Las Palmas de Gran Canaria e dell’Università della Navarra a Pamplona, conferma l’esistenza di una forte correlazione fra significativa diminuzione del rischio (del 50 per cento circa) e dieta mediterranea, ma quando questa è inserita in un più generale “stile di vita mediterraneo”, come lo chiamano gli autori, caratterizzato anche da una buona attività fisica e ricche relazioni sociali.
Tasnime N. Akbaraly e colleghi hanno invece scoperto che seguire a lungo una dieta con un alto “indice infiammatorio dietetico” – indice che esprime la tendenza di una certa dieta a stimolare l’innesco di processi infiammatori – è associata (ma solo nelle donne) ad un aumento del 66 per cento del rischio di sviluppare sintomi depressivi.
Jerome Sarris, dell’Università di Melbourne, e colleghi, si sono concentrati sui potenziali interventi nutrizionali per il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC), esaminando l’effetto dell’integrazione dietetica con l’aminoacido N-acetilcisteina. Grazie a un trial randomizzato e controllato, hanno scoperto che, per quanto questo tipo di integrazione non riduca i sintomi del disturbo sulla popolazione generale dei pazienti testati, i dati suggeriscono una possibile risposta positiva nei soggetti più giovani e in quelli in cui la sintomatologia aveva iniziato a manifestarsi da meno tempo.
Jane Pei-Chen Chang, del Medical University Hospital di Taiwan, e colleghi hanno trovato nei bambini complesse relazioni tra il consumo di alimenti, sintomi fisici e prestazioni cognitive. In particolare, hanno scoperto che il deficit di attenzione e iperattività (ADHD) e la severità dei suoi sintomi sembrano correlati alla presenza di sintomi da carenza di acidi grassi essenziali (omega-2 e omega-6), nonostante i livelli di assunzione di questi bambini fosse uguale a quella del gruppo di controllo. Se confermata, questa relazione lascerebbe intravedere un possibile problema di metabolizzazione di queste sostanze nei soggetti con ADHD.
Infine, Joanna Lothian, dell’Università di Canterbury, e colleghi hanno condotto uno studio preliminare sull’effetto di complessi multivitaminici e multiminerali sull’insonnia, che si può presentare come disturbo a sé stante ma che spesso è associata ad altri problemi di salute mentale, che aggrava. I risultati hanno mostrato un miglioramento dei sintomi, che però – osservano i ricercatori – dovranno essere confermati da ulteriori ricerche.