Qual è la terapia medica ottimale (OMT) per il sollievo dall’angina instabile? E per quanto tempo i medici dovrebbero prescriverla prima di procedere a un approccio invasivo nei pazienti sintomatici con cardiopatia ischemica stabile? A queste domande, che sfidano la comunità cardiologica a definire meglio un’intensità e una durata sufficienti della terapia antianginosa prima di inviare i pazienti al laboratorio di emodinamica, ha cercato di rispondere un articolo pubblicato online su “Lancet”. «Ciò che in realtà non è chiaro nel contesto dell’uso della terapia antianginosa come parte dell’OMT per il sollievo dai sintomi e il miglioramento della qualità della vita è quando si riconosce che è fallita un’adeguata sperimentazione empirica della terapia farmacologica e si dovrebbe indirizzare il paziente alla rivascolarizzazione» chiariscono gli autori, diretti da William E. Boden, della Boston University School of Medicine/VA New England Healthcare System.
Boden e colleghi sottolineano che non esiste un approccio unico per tutti i pazienti e suggeriscono che un corso iniziale di OMT della durata da 3 a 6 mesi in tutti i pazienti tranne i più sintomatici è da considerare appropriato prima di dichiararlo un insuccesso. «Ciò varierà a seconda di altri problemi, come lo stato funzionale del paziente, la sua età o quanto sia fisicamente in forma o al contrario sedentario» aggiungono.
Nell’articolo, Boden e colleghi si concentrano su come definire al meglio l’OMT e la sua durata prima di passare alla rivascolarizzazione coronarica, riconoscendo che la domanda non è mai stata adeguatamente affrontata nei vari studi randomizzati.
In termini di raccomandazioni, Boden e coautori incoraggiano i pazienti con dolore toracico di origine ischemica a sottoporsi ad angiografia coronarica TC per escludere la malattia coronarica (CAD) principale sinistra o estesa a tre vasi. Inoltre, l’ecocardiografia potrebbe essere necessaria per identificare sottogruppi con grave compromissione ventricolare sinistra in cui l’OMT da solo potrebbe non essere appropriato e i pazienti potrebbero essere meglio trattati con un approccio chirurgico. Per tutti gli altri pazienti, deve essere iniziata la terapia antianginosa con beta-bloccanti, calcio-antagonisti e nitrati (almeno due di queste tre classi di farmaci). Per ottenere una terapia ottimale, i dosaggi devono essere aumentati a intervalli da 1 a 2 mesi.
Come chiariscono le linee guida e le dichiarazioni di consenso, i medici dovrebbero adottare un approccio algoritmico al trattamento che tenga conto di comorbilità del paziente, funzione ventricolare, frequenza cardiaca e pressione sanguigna al fine di guidare la selezione dei farmaci. Inoltre, i pazienti dovrebbero essere controllati periodicamente, idealmente ogni mese, per verificare come stanno rispondendo al trattamento.
Boden e colleghi sottolineano anche che il trattamento dovrebbe essere guidato dal meccanismo sottostante dell’ischemia, se possibile. Per esempio, se l’angina è in gran parte di origine da sforzo e la pressione arteriosa è normale o elevata, l’uso di beta-bloccanti, calcio-antagonisti o nitrati è appropriato. Se la pressione arteriosa è inferiore a 100-110 mmHg, o la frequenza cardiaca inferiore a 60 battiti al minuto, l’uso di altri farmaci, come ranolazina, ivabradina, trimetazidina, o nicorandil, potrebbe essere un’opzione migliore. «Per esempio – spiegano gli autori – se un paziente ha il vasospasmo, o se si ritiene che il vasospasmo sia una componente probabile dei loro sintomi, allora spesso non va usato un beta-bloccante. Invece, si impiegherà un calcio-antagonista che abbassa la frequenza cardiaca. Questo approccio darà ai pazienti una certa vasodilatazione coronarica, una certa protezione contro lo spasmo coronarico e anche una certa riduzione della frequenza cardiaca».
Il punto, sottolineano, è che i medici hanno diverse opzioni e devono pensare in modo critico a numerosi fattori che giocano nelle decisioni sull’OMT. Prima di aggiungere qualsiasi nuovo farmaco, Boden e colleghi sostengono che i medici dovrebbero cercare di ottimizzare le dosi del loro regime attuale, nella speranza di evitare un altro farmaco nei pazienti che probabilmente assumono più farmaci per condizioni diverse.
Concludendo, gli autori affermano di aver ancora bisogno di fornire ai medici alcune indicazioni pratiche su come utilizzare al meglio l’OMT per il controllo dei sintomi in ambito clinico non acuto e non chirurgico.