L’esecuzione di un’attività da moderata a vigorosa nel pomeriggio o alla sera può migliorare il controllo della glicemia in misura maggiore rispetto a quella svolta nelle ore diurne. A suggerirlo una nuova ricerca, pubblicata sulla rivista Diabetologia, condotta per valutare la relazione tra i tempi dell’attività fisica e la resistenza all’insulina nell’uomo. I dati provengono da 775 partecipanti olandesi di mezza età (45-65 anni) con un indice di massa corporea medio (BMI) di 26,2 kg/m2 all’interno dello studio osservazionale Netherlands Epidemiology of Obesity (NEO). Il monitoraggio dell’attività per quattro giorni consecutivi ha mostrato che l’esecuzione di un’attività fisica da moderata a vigorosa (MVPA) nel pomeriggio o alla sera era associata a una riduzione dell’insulino-resistenza fino al 25% rispetto allo svolgimento dell’attività distribuita nelle ore diurne. “I risultati mostrano che se l’orario scelto era il pomeriggio (63% della popolazione studiata) o la sera (8% della popolazione studiata), questo coincideva con un miglioramento del metabolismo rispetto all’esercizio svolto al mattino (16% della popolazione)” ha fatto presente Katarina Kos, docente senior in diabete e obesità, Università di Exeter, Regno Unito.
Secondo gli autori l’effetto può essere spiegato almeno in parte dal ritmo circadiano del corpo. “L’attività fisica può dare l’avvio all’attivazione dei geni dell’orologio interno. Ricerche precedenti hanno suggerito che anche il sistema muscolare e il sistema ossidativo del nostro corpo sono influenzati dal ritmo circadiano e il loro picco di attività sembra essere nel tardo pomeriggio” ha sottolineato l’autore principale Jeroen van der Velde, del Dipartimento di Epidemiologia Clinica presso il Leiden University Medical Center nei Paesi Bassi. “Quindi l’attività in questa fase del giorno può suscitare maggiori risposte metaboliche rispetto al mattino”. Considerato però che è importante essere fisicamente attivi in generale, “se il mattino è l’unico momento della giornata in cui andare a fare una passeggiata o una corsa, sicuramente è bene farlo” aggiunge l’esperto.
Lo studio ha coinvolto anche una seconda coorte, invitata a partecipare indipendentemente dal BMI. I prelievi ematici hanno permesso di rilevare che né il tempo trascorso in sedentarietà né le interruzioni (definite come un periodo di attività con un’accelerazione >0,75 m/s2 dopo un periodo sedentario) sono stati associati a una minore insulino-resistenza. Tuttavia, il numero di interruzioni della sedentarietà è risultato associato a un contenuto di grasso epatico superiore del 22%, valutato tramite la spettroscopia di risonanza magnetica protonica. Dopo l’aggiustamento per il grasso corporeo totale, un’ora aggiuntiva di MVPA è stata associata a un calo del 5% della resistenza all’insulina, mentre un’ora aggiuntiva di MVPA in periodi di 5 minuti è stata associata a una resistenza all’insulina inferiore del 9%. Nel dettaglio, l’insulino-resistenza si è ridotta significativamente nei partecipanti che erano più attivi al pomeriggio (18%) o alla sera (25%), mentre non è stata influenzata dalla maggiore attività al mattino (–3%), in confronto con la distribuzione dell’MVPA nel corso della giornata. “Forse per l’accumulo di grasso nel fegato il sistema circadiano è meno coinvolto. O forse i tempi di altre variabili dello stile di vita in questo caso sono più importanti, come il regime alimentare. – conclude van der Velde – La tempistica dell’attività fisica è molto probabilmente solo una tessera del puzzle. La tempistica di altri comportamenti legati allo stile di vita, come il sonno e l’assunzione di cibo sono segnali importanti anche per il nostro sistema circadiano, ed è probabile che tutti questi comportamenti interagiscano tra loro”.