L’esposizione cronica allo smog da traffico veicolare aumenta il rischio di malattie mentali come depressione, disturbi d’ansia e schizofrenia, oltre a far crescere il consumo di farmaci antidepressivi, antipsicotici e stabilizzanti dell’umore e aggravare malattie psichiatriche già presenti. A quantificarne l’impatto negativo sulla salute mentale sono per la prima volta in Italia due studi presentati in anteprima durante il Seminario Internazionale RespiraMi: Recent Advances in Air Pollution and Health co-organizzato dalla Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico e dalla Fondazione Internazionale Menarini.
L’inquinamento ha effetti dannosi non soltanto sull’apparato respiratorio, il sistema cardiovascolare o l’attività cognitiva, ma modifica il funzionamento cerebrale al punto da poterlo compromettere e far sviluppare patologie psichiatriche, soprattutto nella fascia di età tra 30 e 64 anni. Per ogni incremento di circa 1 microgrammo per metro cubo di particolato fine (PM2.5) nell’aria, per esempio, il rischio di depressione aumenta del 13% e in concomitanza le prescrizioni di antidepressivi crescono dell’1.3%. Anche un’esposizione acuta all’inquinamento eccessivo è pericolosa: in chi soffre di depressione bipolare, nei giorni successivi a un allarme smog, la probabilità di ricoveri per episodi maniacali con componenti miste può quasi quadruplicare. “Sapevamo che l’aria inquinata è deleteria per la funzionalità cerebrale, perché per esempio è stato dimostrato che l’esposizione allo smog peggiora le performance cerebrali e addirittura accelera il declino cognitivo correlato all’età, aumentando il rischio di Alzheimer, – osserva Sergio Harari, co-presidente del Seminario e Direttore Unità Operativa Pneumologia, Ospedale San Giuseppe MultiMedica di Milano e professore di Medicina Interna alla Statale – ma i risultati preliminari dei nuovi studi indicano che lo smog può essere tossico sul funzionamento cerebrale al punto da provocare anche patologie psichiatriche, probabilmente attraverso un incremento dell’infiammazione generale o per un’alterazione delle difese antiossidanti. I danni dello smog sul cervello sono evidenti a ogni età, perfino se si è esposti allo smog durante il periodo fetale: è stato dimostrato che livelli di inquinamento inferiori alle soglie stabilite dall’Unione Europea (medie annuali di PM10: 40 microgrammi per m3) comportano alterazioni nello sviluppo del cervello dei bimbi, con una corteccia cerebrale che diventa più sottile in alcune aree e quindi a un maggior rischio di problemi come il disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività”.
Ed è ormai noto anche l’effetto dello smog sullo sviluppo cognitivo nei bambini. “Sappiamo per esempio che i livelli di esposizione all’inquinamento atmosferico correlano con le capacità in test matematici e di linguaggio e quanto più si è esposti allo smog, tanto più con l’andare degli anni peggiorano le abilità cognitive necessarie a svolgere i test, soprattutto nei maschi e in chi appartiene a fasce socioculturali svantaggiate. – commenta Pier Mannuccio Mannucci, co-presidente del Seminario e Professore Emerito di Medicina Interna, Università degli Studi di Milano e Policlinico di Milano – Al contrario gli spazi verdi nella scuola e nell’ambiente circostante aiutano l’apprendimento, portando a un miglioramento dello sviluppo cognitivo: piante e alberi riducono l’inquinamento atmosferico e in parallelo portano i ragazzini ad avere un miglioramento nelle capacità di memoria e di attenzione, a tutto vantaggio della performance scolastica”.
I dati che quantificano come l’esposizione cronica all’inquinamento comporti un impatto negativo anche sulla salute mentale, arrivano da uno studio molto ampio per il quale sono stati seguiti dal 2011 al 2019 oltre 1,7 milioni di abitanti di Roma con più di 30 anni, registrando le nuove diagnosi di malattie mentali, la prescrizione di farmaci per malattie psichiatriche e correlando questi dati con l’esposizione al particolato fine e ultrafine, al biossido di azoto e alla polvere di carbone. “I risultati indicano che i livelli di particolato fine e ultrafine a cui si è esposti sono correlati all’incremento del rischio di andare incontro a una patologia mentale – spiega Massimo Stafoggia, del Dipartimento di Epidemiologia del Servizio Sanitario della Regione Lazio – ASL Roma 1, autore dell’indagine con Federica Nobile e altri colleghi – Abbiamo osservato che al crescere dell’esposizione al particolato il rischio di depressione aumenta del 13%, quello di disturbi d’ansia del 9%, di schizofrenia del 7%; associazioni positive si sono dimostrate anche per biossido di azoto e polvere di carbone, così come è evidente un incremento nelle prescrizioni di antidepressivi (+1,3%) e antipsicotici (+4%) al crescere dei livelli di PM2.5. Questa associazione con l’incremento del consumo di farmaci psichiatrici rafforza il dato e conferma che c’è una forte correlazione fra l’esposizione all’inquinamento ambientale nel lungo termine e lo sviluppo di disturbi mentali; fra gli inquinanti considerati, l’associazione è risultata particolarmente evidente per il particolato fine e ultrafine. Gli adulti fra 30 e 64 anni sembrano inoltre la fascia d’età più ‘fragile’ di fronte agli effetti negativi dell’inquinamento sulla salute mentale”.
E la pericolosità dello smog sul benessere mentale è confermata da un altro studio discusso in anteprima durante il convegno, condotto in partnership dalle Unità Operative di Epidemiologia e Psichiatria del Policlinico di Milano, su circa 200 pazienti con depressione bipolare lì ricoverati per episodio maniacale fra il 2007 e il 2019. Analizzando i dati relativi all’esposizione allo smog nei giorni immediatamente precedenti, è emerso con chiarezza che l’incremento del particolato PM10 nell’aria si associa a un rischio più elevato di ricovero, che arriva a essere 3.6 volte maggiore del normale nel secondo giorno dopo l’esposizione all’aria particolarmente inquinata.