In Italia il Coronavirus ha compromesso l’assistenza ordinaria ai pazienti colpiti da malattie reumatologiche. Il 62% infatti non è riuscito a mantenere i contatti con lo specialista durante le fasi più acute della pandemia, nemmeno attraverso la telemedicina. Di questi il 27% dichiara che il medico non sia stato reperibile in quei mesi difficili. Per il 41% l’ospedale non ha messo a disposizione strumenti digitali per la telemedicina. Per otto malati su dieci le nuove tecnologie dovrebbero favorire i contatti non solo con lo specialista di riferimento ma anche con altri professionisti (per esempio il ginecologo, il cardiologo o l’ortopedico). Forti lacune sono evidenziate anche per altri aspetti della gestione della patologia. Per esempio, il 91% dei pazienti non utilizza nessuno strumento digitale per la somministrazione di farmacie nove su dieci auspicano un dialogo costante con il reumatologo anche per affrontare eventuali comorbidità collegate alla malattia. È quanto emerge da un sondaggio on line svolto su oltre 200 malati dall’ANMAR Onlus (Associazione Nazionale Malati Reumatici) in collaborazione con l’Osservatorio CAPIRE. “L’indagine che abbiamo condotto apre interrogativi importanti e ribadisce alcune preoccupazioni che abbiamo denunciato fin dall’inizio della pandemia. – sottolinea Silvia Tonolo, Presidente ANMAR Onlus – La lontananza, non solo fisica, di molti pazienti dal proprio specialista può avere determinato problemi di mancata aderenza alla terapia e quindi la continuità di cura. Lo stesso vale per gli esami diagnostici che spesso non sono stati eseguiti. Possono esserci stati dei fenomeni di riacutizzazione delle forme più gravi di artrite o di altre malattie. Da mesi stiamo ricevendo da malati e caregiver questo genere di segnalazioni. In quasi l’intero territorio nazionale il Covid-19 ha interrotto l’assistenza sanitaria reumatologica, soprattutto nell’autunno-inverno del 2020 e in questi ultimi mesi”.
Il sondaggio dell’ANMAR evidenzia inoltre alcune perplessità circa il nuovo Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che prevede lo spostamento dell’assistenza sanitaria dall’ospedale al territorio. Il 30% degli intervistati si dichiara sfavorevole a questo passaggio e di questi il 48% sostiene di sentirsi meglio seguito in ospedale. Il 19% invece ritiene che i medici del territorio non sia sufficientemente preparati nel gestire patologie spesso complesse. “È inevitabile un trasferimento di alcune prestazioni sanitarie dal reparto ospedaliero di reumatologia alla medicina territoriale. – commenta Mauro Galeazzi, Responsabile scientifico dell’Osservatorio CAPIRE – E’ un processo di cui il Covid-19 ha sottolineato l’importanza e spesso evidenziato l’urgente necessità, soprattutto in alcune Regioni della Penisola. I vantaggi possono essere notevoli in termini di accessibilità ai servizi e di funzionalità rispetto alle esigenze dei malati. Nella riorganizzazione della rete assistenziale territoriale è fondamentale la presenza del Reumatologo nelle case/ospedali di comunità essendo le malattie croniche reumatologiche tra le più diffuse nella popolazione, se si vuole veramente ridurre l’afflusso di malati nelle strutture ospedaliere”.
Per concludere, Roberto Gerli, Presidente della Società Italiana di Reumatologia, afferma che “la rete ospedaliera italiana va riorganizzata e il numero di posti letto dovrebbe essere adeguato anche prevedendo letti dedicati per specialità mediche come la reumatologia. Ciò non esclude però il fatto che ci debba essere una riorganizzazione anche a livello del territorio con una stretta interconnessione tra queste attività ambulatoriali e l’ospedale. È un processo che si sta realizzando in molte branche della medicina e che riguarda anche la nostra specialità. In reumatologia, molte terapie possono essere gestite anche al di fuori della struttura ospedaliera, ma al tempo stesso il paziente non deve essere lasciato solo”.